Arte contemporanea e cultura in Sardegna e nel Mediterraneo

Ziqqurat n°8
Sommario
Sonia Rosa Natante, Senza titolo, 2000, calici, chiodi e acqua, dimensioni variabili

Ritmi del Tempo intervista a
Sonia Rosa Natante
di Mariolina Cosseddu

M.C.: La tua giovane età e il tuo spirito giocoso e irriverente, nascondono un passato di tutto rispetto, una formazione ben strutturata e una decisa, quasi innata, vocazione all’arte. È cosi?
S.R.N.: Fin da bambina ho avuto le idee chiare, cioè avvicinarmi al mondo dell’arte, così ho frequentato l’Istituto d’Arte di Sassari, quindi l’Accademia. Ma a 14 anni, poi, ho cominciato a suonare la batteria e per un certo periodo ho fatto parte di un gruppo musicale: posso dire di essere stata prima una musicista e poi un’artista visiva. In realtà, mentre in un primo momento vedevo le due attività separate, più tardi ho trovato il modo di sentirle unite e concordi e il mezzo di raccordo l’ho facilmente individuato nella dimensione “tempo”.

M.C.: Parliamo più diffusamente di questa dimensione che mi pare essere il sostrato portante del tuo lavoro, passato e recente e, se non sbaglio, sostenuto da buone letture e da una ricerca teorica che accompagna costantemente l’attività pratica.
Sonia Rosa Natante, Avanti Veloce, 1999, performance installativa, sale e carbone, dimensione ambienteS.R.N.: La concezione del tempo l’ho assimilata prima di tutto dalla musica e, nella mia esperienza, è diventata un’entità insieme fisica, sonora ed interiore. L’idea del tempo, che approfondisco con saggi di filosofia e psicologia musicale, si concretizza, per me, nella scansione ritmica delle parti, nella ordinata divisione delle fasi, nell’armonia opposta dei contrari. Così com’è possibile leggere nella mia prima personale realizzata a Sassari nel 1998 e intitolata significativamente Avanti veloce.

M.C.: Quel lavoro, che ci consente di ricostruire il tuo percorso, è emblematico dei lavori futuri ed è sicuramente la più compiuta metafora della complessità di relazioni che la visione temporale racchiude e che tu cerchi di materializzare nelle installazioni. Come definiresti quell’operazione su cui sei ritornata più tardi citandola ironicamente in un intervento al Centro Kairos?
S.R.N.: Con il sale e il carbone, elementi naturali carichi di forte simbolismo, che rappresentano per me l’antitesi tra la sapienza e l’umiltà, il caldo e il freddo, la conservazione e la corrosione, ho costruito, su un vasto pavimento, una gigantesca scacchiera con cui, come nella musica, ho lavorato su un ritmo regolare e su timbri opposti e apparentemente contradditori. È stato il pubblico, invitato a calpestare quello spazio geometricamente composto, ad unire e trasformare i materiali giungendo ad una nuova visione e definizione. Io stessa sono presente con il mio corpo colorato di rosso mentre attraverso velocemente l’ambiente, e con la mia musica assordante che invade lo spazio e che proviene da una botola dove ho piazzato la batteria.

M.C.: Così musica e arte visiva si fondono e tu diventi parte integrante dell’evento aggiungendo il colore del tuo corpo al binomio degli elementi di base e giocando così sul rapporto tra rinascita e morte. Ma il pubblico come ha reagito all’invito di distruggere ciò che tu avevi pazientemente creato?
S.R.N.: Intanto niente si è distrutto ma solo trasformato e il vero protagonista è diventato proprio il pubblico che, appropriandosi dello spazio, lo ha vissuto pienamente decidendo se ascoltare la musica d’acqua che proveniva dalla mia batteria. Ho servito tappi per le orecchie in modo che potesse scegliere se accentuare il senso del tatto o dell’udito, in ogni caso vivere la temporalità in maniera personale.

M.C.: In quell’occasione hai anche tagliato i tuoi capelli, evento che mi pare tu compia ogni tre anni. Vuoi spiegarci perché e che significato gli attribuisci?
S.R.N.: Da undici anni, con scadenza triennale, il 27 maggio, dopo aver fatto allungare i capelli, li raso e, seguendo un mio personale gioco numerico, ripeto il rito che per me ha valore di rinascita. Infatti, prima di tagliarli, li tingo di grigio, invecchiando simbolicamente, e poi, rasati, conservo il materiale ottenuto con cui prima o poi sogno di fare una mostra di soli miei capelli. È, dunque, un momento magico, legato comunque al tempo perché registro il trascorrere degli anni in questa maniera.

Sonia Rosa Natante, Rinasco, 2001 performance, Accademia delle Belle Arti di LecceSonia Rosa Natante, Rinasco, 2001 performance, Accademia delle Belle Arti di LecceSonia Rosa Natante, Rinasco, 2001 performance, Accademia delle Belle Arti di LecceSonia Rosa Natante, Rinasco, 2001 performance, Accademia delle Belle Arti di Lecce



M.C.: Nei lavori successivi si riafferma sia il principio di contraddizione sia una dimensione concettuale che privilegia il silenzio e l’assenza. Vuoi sciogliere questo nodo che rende spesso le tue opere fredde e lontane da una ricezione più coinvolgente?
S.R.N.: Il mio è un lavoro soprattutto intellettivo, che conosce lunghe fasi di gestazione, mesi di elaborazione mentale che producono composizioni fatte quasi di getto, realizzate con immediatezza per trasmettere naturalezza e spontaneità. È questo aspetto che molti mi imputano, poiché vedono il versante rigorosamente progettuale e trascurano invece la componente manuale, sensoriale e tattile, che rende il lavoro più complesso di quanto appaia.

M.C.: Emblematico del tuo universo mi pare l’intervento compiuto nel 2000 al circolo Borderline di Sassari dal suggestivo titolo Io senza trucco. Una sorta di autoritratto?
S.R.N.: In realtà è qualcosa di più di un autoritratto perché l’installazione, che si componeva di 12 calchi del mio viso, è stata ottenuta da altrettante maschere di gesso stampate una per una sul mio volto, così da risultare ciascuna caratterizzata da una diversa espressione. Le ho, poi, disposte su una vecchia parete come specchiandosi l’una con l’altra e, allo stesso tempo, differenziandosene nettamente. Il lavoro mantiene qualcosa di non rifinito, di artigianale, quasi di grossolano, che per me è una nota di valore irrinunciabile.

M.C.: L’incontro di materiali particolari come il vetro e il ferro, il sale e il carbone, l’acqua e la musica, oltre la forte densità simbolica che contengono, vengono utilizzati da te con ulteriori intenti e con un forte effetto straniante. Penso a Proxima al Centro Kairos, ai lavori in mostra a Berchidda per il PAV nel 2000 e nel 2002, dove più esplicitamente hai dato forma al tempo ricorrendo alla clessidra.
S.R.N.: I materiali hanno una memoria che il tempo non consuma ma trasforma e quando li abbino in una composizione ne studio la loro possibile interazione nonostante l’antitesi apparente. Sono attratta dalle forze opposte, dal bene come dal male, che coniugo su giochi di pieni e di vuoti, di suoni e di silenzi, di ritmi e pause, come in una creazione musicale. Ti ricordi a Berchidda, per Arte e design, ho disposto 25 contenitori di vetro, 25 come i miei anni, e dentro vi ho posto un petalo di rosa su cui ho deposto un pezzetto di granito. L’idea della leggerezza effimera dei petali che sorregge la dura prepotenza del granito mi fa impazzire, solo l’arte può pensare tanto, non certo la natura!

M.C.: Il principio di contraddizione che, abbiamo detto, connota questi lavori è, senza dubbio, espressione di un tuo vissuto, di una tua particolare inclinazione ad affermare e negare contemporaneamente.
S.R.N.: Sì, certo, è parte integrante di me stessa; io mi riconosco in questa dimensione, l’unica che mi assicura piena libertà e, allo stesso tempo, consapevolezza della mia interiorità, che è poi il contrasto solo apparente tra un’elaborazione interiore, razionale, lunga e travagliata e una messa in opera istantanea ed immediata.

M.C.: Nella tua esistenza e nella tua attività artistica ha sicuramente avuto un peso non lieve il problema al cuore, cioè, la tachicardia parossistica che hai risolto recentemente con un intervento e che ha condizionato il rapporto con te stessa e con gli altri. Ti senti pronta a parlarne o è meglio rimuoverlo per sempre?
S.R.N.: Adesso sì, sento di poterlo affrontare dialogicamente perché il ritmo accelerato del mio cuore, che adesso hanno riportato alla normalità, io l’ho vissuto non drammaticamente ma come un dato di me stessa, tanto che ora mi sento quasi impoverita da quel suono che rimbombava dentro di me e che mi dava la sensazione di vivere intensamente anche se, quando il cuore impazziva, dovevo dare una pausa alla mia vita e sottrarmi al lavoro. Ma era, quello, un modo per ascoltarmi, per entrare in contatto fisico e mentale. Ero io a controllare quei battiti e, liberatami dai farmaci, ad esercitare una precisa volontà su un cuore che, piano piano, mi obbediva mentre sentivo di riacquistare il ritmo degli altri. Il cuore sarà al centro di alcuni lavori futuri di cui sto, per ora, elaborando i progetti. Il cuore che per me è l’anima.

M.C.: Più volte hai detto del piacere che ti deriva dal lavorare con gli altri, dalle collaborazioni e dai progetti collettivi.
S.R.N.: Per me è davvero esaltante lavorare insieme ad altri artisti, è un arricchimento che mi consente di mettermi in discussione e riflettere sulle mie capacità e, allo stesso tempo, conoscere altre esperienze ed altri linguaggi. Le collettive per me sono delle grandi feste, dei banchetti, dove ciascuno porta una pietanza e insieme si consuma di sé e degli altri e tutto diventa di tutti.

M.C.: Quali prossimi progetti, a media e a lunga scadenza?
S.R.N.: Due, importantissimi: uno più vicino, a Genova, grazie all’interesse di Giuseppe Spagnulo che mi ha invitato ad un grande progetto teso a riqualificare una vecchia ferrovia in disuso e per cui io ho già preparato una scultura permanente in ferro, acciaio e rame che risuona al passaggio della folla e che, come uno strumento musicale, può essere azionato secondo un ritmo alterno e costante. L’altro progetto lo sto mettendo a punto con Barbara Ardau, una collega con cui in questo momento sto condividendo una felice collaborazione.

M.C.: Chi sono stati i tuoi maestri e ce n’è qualcuno in particolare a cui sei legata?
S.R.N.: Devo molto ad una persona straordinaria quale è Ghislen Mayaud, docente di decorazione all’Accademia di Lecce.

M.C.: Che cosa ti aspetti dal tuo lavoro e come lo vedi dalla nuova prospettiva di un cuore che batte al ritmo degli altri?
S.R.N.: Il desiderio è che tutto il mio lavoro abbia una continuità interna, dove ogni fase sia solo un tassello di una grande ragnatela; io credo che nessuna opera sia veramente finita ma prosegua nelle altre e con le altre si completi. Vorrei che questo cammino potesse rispecchiare la mia nuova condizione di “regolarità di frequenza”, lasciando però anche spazio all’irragionevolezza e al sogno.


Sonia Rosa Natante (Sassari, 1974) vive e lavora a Sassari.


 

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