Arte contemporanea e cultura in Sardegna e nel Mediterraneo

Ziqqurat n°8
Sommario

Gaetano Brundu, Senza titolo, 1990, olio su tela, 60x 80 cm La libertà del segno intervista a
Gaetano Brundu
di Maria Dolores Picciau

M.D.P.: Il tuo esordio nella vita culturale cagliaritana è legato alle mostre collettive dei pittori e scultori di Studio 58. Come è nata la tua avventura artistica?
G.B.: C’erano le letture, Lionello Venturi in particolare, le mostre a Roma, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna era stata appena esposta la mitica collezione Cavellini, una raccolta orientata principalmente verso gli informali europei. A Cagliari, nell’estate del 1957, con Italo Agus si cercava di creare un “Caffè degli artisti” con l’idea di sollecitare l’esposizione di opere, la libera discussione e l’incontro senza filtri e selezioni. Avevamo vent’anni, più o meno e incominciammo a trovar contatti con altri artisti della nostra età e nel giro di pochi mesi aveva preso corpo l’idea di creare un gruppo, un gruppo di rinnovamento, di dibattito libero e senza preconcetti.

M.D.P.: Studio 58, il Gruppo Iniziativa, dei quali sei stato tra i fondatori, tra il ’58 ed Gaetano Brundu, Per Francesco, 1983, olio su tela, 70 x 50 cmi primi anni Sessanta, che cosa si proponevano e che cosa hanno rappresentato per l’arte in Sardegna?
G.B.: Per Studio 58 era fondamentale l’affermazione di libertà, la rivendicazione ad un pensare libero, la creazione di un dibattito privo di pregiudizi e di valori dati una volta per tutte. Per il Gruppo Iniziativa c’era un progetto più ampio, più generale nelle sue implicazioni sociali e d’impegno su progetto di Francesco Cocco. Il Gruppo Iniziativa si articolò presto in settori specifici, quello artistico era uno di essi. Del 1964 è l’elaborazione del Manifesto, firmato da me, Mazzarelli, Pantoli e Staccioli. Cosa ha rappresentato il Gruppo Iniziativa per la Sardegna, o per l’Italia, è una cosa che non era al centro delle mie preoccupazioni. Nel sistema dell’arte c’è, e c’era anche allora, una dimensione globale, un’ideale comunicazione planetaria, particolarmente sentita fra gli artisti e le intelligenze progressiste, e fra coloro che pensano che il futuro può rivelarsi prodigo di doni per la vita dell’umanità. Le specificità locali possono essere assorbite in queste ampie dinamiche. La Sardegna è un’isola, forse perfino felice, di questo vasto mondo.

M.D.P.: Sei stato considerato un iconoclasta e un rivoluzionario quando nel 1960 per laGaetano Brundu, Imperfetto Mercato, 2000, tecnica mista su carta (courtesy Man Ray, Cagliari) prima volta hai esposto i tuoi sacchi al Portico Sant’Antonio a Cagliari: vogliamo ricordare l’importanza di quell’evento?
G.B.: La mostra al Portico Sant’Antonio, nel febbraio 1960, ebbe un impatto di massa. Non era una mostra limitata al clima rarefatto e artefatto delle gallerie. Era un’operazione iconoclasta rispetto al contesto locale, ma sapevo bene cos’era successo da più di quarant’anni nelle più avanzate ricerche artistiche in diverse parti del mondo ed il mio intento era piuttosto quello di partecipare ad un processo che ancora stava impegnando tanti artisti nel mondo. Certo uno dei sacchi esposti al Portico Sant’Antonio era intitolato Souvenir from Auschwitz, un altro riprendeva un verso di Ezra Pound a proposito di Ulisse, Il mio nome è Nessuno. Potevano anche essere visti, in qualche modo, come un riflesso di opposti estremismi, come si diceva allora, certamente io li proponevo per la loro carica di sarcasmo e di disperazione, la storia senza ritorno dei lager e la vicenda apparentemente senza speranza nella grotta di Polifemo. Non a caso avevo scelto la parola Souvenir, come fosse un’innocente cartolina da un luogo di vacanza, per evocare quella tragedia espressa da un sacco strappato e sbrindellato e macchiato di rosso sangue.

M.D.P.: Ma quali erano le ragioni di fondo che giustificavano quest’ansia di rinnovamento?
G.B: Le ragioni di fondo erano le stesse che in tutto il mondo spingevano tanti artisti ad affermare la loro libertà espressiva e per questo a scontrarsi inevitabilmente con conformismi e spirito cortigiano, ad essere guardati con ostilità dal Potere e dai suoi cortigiani e cani da guardia. Mi viene da pensare al presente, oggi, qui, ma anche qui ieri e non solo avantieri, ma ormai siamo abituati a tutto e ci resta solo da sperare che il peggio non debba ancora venire.

M.D.P.: Quando è comparso per la prima volta il “baffo” e personalmente a cosa lo riconduci?
G.B.: Il primo “baffo” è del 1962. Apparve su un olio su tela che intitolai subito Leone I. La forma ed il simbolo del baffo era ed è riconducibile alle particolari problematiche messe in luce dal Surrealismo e, prima ancora, alle analisi di Freud sul sogno e sui suoi simboli. Quindi il baffo, è anche un simbolo fallico; ma direi che esso richiama un più ampio e complicato ambito erotico. Sono seguite infinite variazioni sul tema, dal suo definire il muso di quei primi gattoni, i leoni, al riproporsi per la loro semplice forma in composizioni non figurative, fino alle recenti sperimentazioni al computer.

M.D.P: Spesso i tuoi lavori sono accompagnati da scritte e citazioni. Cosa significano per te oggi visto che hanno perso, forse, quel carattere dissacrante e di protesta che avevano negli anni ’60?
G.B.: Sì. Da un lato i versi dei poeti, dall’altro le parole scritte sui quadri o sui disegni, qualche volta anche parole e frasi inventate, come Kail als Munst, da Mail als Kunst. Altre volte le parole sono belle e chiare: Maledetti, Maledetti vorrà purGaetano Brundu, Maledetti, maledetti, 1982, veduta dell’allestimento alla Galleria Comunale di Cagliari, 1982 dire qualcosa. Questa scritta, utilizzata in due mostre del 1999, voleva richiamare misere esperienze del quotidiano, “storie di ordinaria burocrazia” e poiché c’era anche un richiamo ad un famoso titolo di Bukowski, l’idea della follia veniva lasciata scivolare fra le pieghe di quel titolo. Se guardiamo al quotidiano, ad ambiti più ristretti e forse per questo più deprimenti e disperanti, pesa su di noi la consapevolezza di essere avvolti in una rete di norme vessatorie, di trappole amministrative, limiti e limitazioni gestite dalla burocrazia con la sua congenita ottusità ed incoercibile inclinazione alla sopraffazione del cittadino in cui si vede un suddito da tener buono e spaventato e con la sensazione di avere sempre torto; sono le trappole che incidono sul quotidiano e corrodono i sentimenti, che avvelenano ogni nostra velleità di goderci serenamente le gioie che l’esistenza potrebbe anche dispensarci.

M.D.P.: Hai svolto sempre un’intensa attività pubblicistica. Molti artisti preferiscono lavorare al cavalletto e alcuni vivono appartati. Tu sei molto schivo ma ami esprimere anche attraverso la scrittura il tuo credo e a volte lo fai in modo “dissacrante”. Quale deve essere per te il ruolo dell’artista oggi?
G.B.: Qualche volta ripenso agli anni ’58 e ’59, alle cose che riuscivo a scrivere allora, alla libertà che concretamente riuscivo a strappare in contesti che apparivano illiberali e repressivi. Ora mi chiedo perché quella libertà non la si eserciti oggi. Forse per limiti nostri attuali, per autocensura, mancanza di coraggio e per troppo rispetto delle cose che non ci piacciono. E magari poco amore per le cose che ci piacciono. O magari per una forte illiberalità del contesto, per la funzione negativa e censoria dei filtri, cioè di coloro che hanno il potere di pubblicare o non pubblicare. Ne risente il clima generale, la qualità del dibattito culturale, poiché se manca una vivace, anche feroce, dialettica, la vita culturale resta priva del suo ossigeno, della sua principale ragion d’essere. A questo discorso si può collegare quello sul ruolo dell’artista oggi. Non credo si debba pensare a tale ruolo in modo rigido, statico, bisogna concepire una dinamica che può anche avere le sue apparenti contraddizioni, una dinamica che contenga, nei suoi diversi momenti, sia la torre d’avorio che il buttarsi nella mischia; il silenzio, ma anche il canto, l’urlo e l’invettiva.

M.D.P.: Perché le tue partecipazioni a mostre sono sempre più rare?
G.B.: Oggi non ho una gran voglia di esporre, date le condizioni attuali, in certi contesti, ma forse in me si è accentuata l’insofferenza per certa ostilità istituzionale che si sente nell’aria, ma anche per questi rituali pseudo mondani, per le troppe approssimazioni culturali e per questo starnazzare. E poi percepisco diffusa una più generale ostilità per l’arte e perfino per le sue logiche interne, un’ostilità che si annida fin nelle strutture sociali e amministrative, nelle logiche del potere e nelle ideologie, tutte, del Leviatano predone e vessatorio che si è impadronito anche della nostra vita quotidiana, delle nostre ore e dei nostri pensieri.

Gaetano Brundu è nato a Cagliari nel 1936. Vive e lavora a Cagliari. Fin dagli esordi ha inteso il fare artistico come impegno sociale e di critica all’establishement artistico. È stato tra i promotori del Gruppo 58 e tra i fondatori del Gruppo d’Iniziativa democratica.

 

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