Arte contemporanea e cultura in Sardegna e nel Mediterraneo

Ziqqurat n°7
Sommario

 

Le ali del violaWanda Nazzari, Ai margini del viola, 1999, acrilico su legno inciso, 50 x 50 cm
       Wanda Nazzari
di Alessandra Menesini

A.M.: «Tre colori esistono al mondo. Il verde è il secondo», scrisse Sergio Atzeni. Per te il primo colore è il viola. Quali i significati e le ragioni di una simile scelta?
W.N.: È vero, il viola è il colore che predomina nel mio lavoro, insieme al bianco che comunque continua ad imporsi, nei rilievi su carta e nella maggior parte delle opere installative, qualche volta attraversate da un velo di scrittura o di bronzo-oro. Per quanto concerne i significati nella preferenza del viola, penso che siano gli stessi che mi legano al bianco. Se di fronte a un bianco ci si può annullare, lo stesso può accadere con il viola, pur essendo, dal punto di vista della percezione, il suo esatto contrario. Per quanto riguarda le ragioni, in realtà non ce ne sono. È il viola, che mi ha scelto. Il colore non è mai cercato, ti inonda, ti invade, ti possiede, e non sai esattamente perché. Arriva un momento in cui è necessario e allora s’impone. Credo di averlo usato da sempre. Inizialmente la sua tonalità era molto debole, si confondeva con gli altri colori. Poi ho iniziato a selezionare e la mia tavolozza è diventata sempre più essenziale. Il viola, nel frattempo, si è caricato di potenza.

A.M.: Il viola ha pervaso i tuoi lavori lignei, i quadri, gli acquarelli, i “nidi”. Evidentemente, si trasforma e muta, nella tua mente e nelle tue mani, per adattarsi a grandi sfondi o a minime incursioni.
W.N.: Tutto dipende da ciò che voglio dire. Può diventare rosa negli acquarelli o viola ruggine nei nidi e nelle grandi tavole dove, talvolta, emergono bagliori di rosso, come se uno dei due colori che lo compongono volesse sgorgare dalle ferite del legno. Su questa fase del mio lavoro ho ricercato a lungo, soprattutto nelle grandi campiture, per le quali ho usato svariate tonalità di rossi. Qui mi piace citare quanto su questo mio colore ha scritto Maria Luisa Frongia: «sintesi di forze contrapposte, sintesi che dà luogo a una razionalità non fredda, ma temperata da elementi frutto di sentimento…».

Wanda Nazzari, Polittico, 1995, acrilico su legno inciso, h 200 cm, larghezza dimensioni variabiliA.M.: Puoi tracciare un breve riepilogo del tuo percorso artistico? Quando hai iniziato, e come è cambiato il tuo fare negli anni?
W.N.: È iniziato quando, a quattordici anni, frequentando il Centro Artistico Polivalente di Cagliari cominciai ad avvicinarmi al teatro e alla pittura. Poi il centro chiuse, morì mio padre e io mi fermai per diversi anni. Ripresi agli inizi degli anni Settanta, con una grande voglia di sperimentare e soprattutto di ritrovarmi, di ritrovare con le mie sole forze quel mondo creativo che mi mancava. Dopo un periodo figurativo, del quale purtroppo ho conservato ben poco, la figura è andata disgregandosi, fino alla totale negazione per ritornare più che altro, sotto forma di metafora, negli anni Novanta, nei “nidi” e nelle “ali”. Gli anni Ottanta sono stati caratterizzati da un lungo periodo d’astrazione lirica e dallo studio di varie tecniche calcografiche che mi hanno suggerito nuove intui-zioni: dai rilievi bianchi su carta eseguiti per manopressione, alla matrice xilografica divenuta opera unica. Idea che mi ha portato, in seguito, alle grandi ta-vole scolpite e dipinte e ai polittici che si sono impadroniti dello spazio come spazio scenico.
I miei primi lavori su legno sono del 1984. La parte incisa presenta dei solchi leggeri e morbidi che inglobano tinte vegetali. Poi la texture è diventata più fitta, i solchi più profondi fino ad assumere l’aspetto di vere e proprie lesioni. Questo è stato anche il momento in cui la mia attenzione si è rivolta a considerare gli effetti di rifrazione della luce su una superficie frastagliata e sono nati il verde petrolio, il turchese, il ruggine.
Una ricerca dura, faticosa anche fisicamente. Per questo, ogni tanto, alterno al lavoro su legno momenti che definisco “pause”, realizzando opere bianche su carta, spesso con interventi di acquarello. Il mio continuo cercare è stato anche un cercare dentro di me.

A.M.: Fase importante, sempre in nuce e mai scomparsi, i “nidi”. Spiegami come questa forma si è impadronita della tua poetica.
Wanda Nazzari, Nido, 1994, carta, legno, filo, colore acrilico, 40 x 30 cmW.N.: Il grande Nido ferito del presepe del 1993, che ho realizzato a Cagliari nella galleria Capidepoche, nato come presagio di vita all’interno della croce divelta, segna l’inizio di questa mia metafora. Ma, in realtà esisteva già da molti anni in forma ancora inconsapevole. Il critico Francesca Angela Zaru ne trova tracce negli anni Ottanta, nelle grandi campiture all’acquarello dell’’87 e negli acrilici della serie La Guerra del Golfo.
Il nido è il luogo dove si nasce, ma anche il luogo dove rifugiarsi e convivere. Ma il nido non è soltanto un luogo: il nido è l’uomo nel suo amore per l’uomo. Ecco perché sono legata a questa metafora, fatta spesso d’umanità ferita ma anche risorta, presagio di un futuro migliore. Allora il nido si tinge di rosa o di giallo e dal suo interno il filo, scrittura di vita, racconta e cerca altri nidi a cui legarsi. Nell’ultima opera di questa serie, i nidi embrione, fatti d’umanità nascente, sono completamente bianchi, protetti da un velo dipinto di bianco. La serie dei nidi nasce alla fine del ’99 per la rassegna Stanze con Le voci illese, in risposta ad una negazione, a un tentativo di soppressione. Spesso le mie opere nascono da travagli reali: sono catartiche e esprimono un bisogno di generare vita.

A.M.: Per te è più importante la ricerca, la coerenza o la continuità?
W.N.: Se non sono sullo stesso piano, non vai avanti. Non esiste un ordine d’importanza, tutte e tre si pongono come necessità. Le intuizioni nascono dalla ricerca, non esiste ricerca senza continuità, non esiste continuità senza coerenza.

Wanda Nazzari, Il principio del dubbio, 2000, legno, bronzo, acrilico, oroA.M.: Da sette anni, hai aggiunto al tuo lavoro d’artista quello di gallerista e organizzatrice di eventi culturali per il Centro Man Ray di Cagliari. Quali problemi sono nati in relazione a questa molteplice attività?
W.N.: Problemi tanti, anche di carattere economico, per mantenere una qualità alta in un’associazione senza fini di lucro. Il Man Ray è aperto tutto l’anno e non solo promuove mostre ma cura la formazione di giovani artisti. È quasi una sfida, con momenti difficili e altri molto soddisfacenti. Per fortuna ho ottimi collaboratori, tra cui mio figlio Stefano Grassi, cui si deve tra l’altro una preziosa documentazione fotografica e Rita Atzeri per il settore spettacolo.

Wanda Nazzari (Cagliari, 1935) vive e opera a Cagliari. Dal 1995 è direttrice artistica e curatrice del Centro Culturale Man Ray, spazio polivalente dedicato alle sperimentazioni contemporanee.


(foto Stefano Grassi courtesy Man Ray, Cagliari)

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