Arte contemporanea e cultura in Sardegna e nel Mediterraneo


Ziqqurat n°4
Sommario

 

Fammi godere

Arpiani e Pagliarini

di Marco Senaldi

“Reggere il mòccolo”

Un tizio parte in crociera verso mari lontani. Ma la nave fa naufragio e il pover’uomo si ritrova sulla proverbiale isola deserta in compagnia della più bella donna del mondo, Claudia Schiffer. Nasce la prevedibile love story e la felicità dell’uomo è al colmo. Ma dopo un po’ di tempo il fortunato mostra segni di impazienza e tristezza. «Sai, è che mi manca tanto il mio migliore Arpiani e Pagliarini, Men and Women, 1997, still da video, 1 h 15’amico, Romoletto... ». «Va bene - risponde Claudia - what can I do for you - che posso fare per te?» «ti prego, - ribatte lui - potresti vestirti da uomo?». Anche se molto scettica Claudia acconsente al volere del partner. Quest’ultimo, non appena la vede così vestita, esulta e la abbraccia come se si trattasse del vecchio amico: «Ahò, a Romolè! te devo dì ’na cosa straordinaria, te faccio morì d’invidia: ma lo sai che me sto a scopà Claudia Schiffer?!».
La morale della storiella, naturalmente non risiede in quel tanto di machismo che rivela (a dir la verità potrebbe essere rovesciata, con una “lei” al posto di “lui”...), e nemmeno su come sia talvolta più bello raccontare le cose che viverle direttamente; no, il cuore della storia risiede nell’identità ipotetica Claudia-Romoletto, nella natura intimamente contraddittoria del godimento per cui, ogniqualvolta raggiungiamo la cosa X che supponiamo ci possa soddisfare, essa si rivela chiaramente carente, a meno che non sia doppiata dalla sua controparte immaginaria. Solo quest’ultima, pur nella sua esistenza virtuale, è quel surplus che ci permette di restare illesi dal crollo evidente dell’oggetto dei desideri - dal fatto che, una volta raggiunta (ossia divenuta per-noi), la cosa-in-sé rischia di perdere ogni valore ed ogni senso.
Quello che la storiella omette di dire è ciò che accade dopo: cioè che, se pure lo stratagemma del nostro eroe funziona e, in un certo senso, salva la relazione, esso è senza ritorno: la relazione sessuale “ingenua”, “primitiva”, è, dopo la piccola recita, interamente perduta e tra i soggetti ha preso piede una forma di relazione in cui il godimento, da diretto, si è fatto riflesso, triangolare, come se di mezzo - a reggere il famoso mòccolo - ci fosse uno schermo.

Io, màmmeta e tu

Questo divenir riflessivo delle relazioni umane è ciò che mi fa pensare ad Arpiani-Pagliarini come i possibili protagonisti di una barzelletta simile, in cui però tutti e due occupano simultaneamente la posizione di Claudia Schiffer e di Romolo... Ma che cosa fanno Arpiani-Pagliarini? Dico e chiedo cosa fanno, perché chi siano è già una domanda così difficile, a cui gli stessi Arpiani-Pagliarini non forniscono mai una risposta davvero esauriente.
Andiamo con ordine. Nel 1995 Federico Pagliarini, artista, partecipa al Valdenza Show, una modesta trasmissione di un’emittente privata, dove interviene in compagnia della fidanzata, Raffaella Arpiani, e dei familiari, che, in qualità di collaboratori presentano i suoi lavori. Fin qui, niente di male, un po’ di pubblicità locale per un giovane artista. Già, ma di che lavori si trattava? La piccola grande storia (1993) era ad esempio una foto di scena del film Maria Luigia Duchessa di Parma, in cui Federico (a 12 anni) interpretava il ruolo del Re di Roma; la foto ingrandita, e montata su pannello pubblicitario, viene allestita nei boschi in cui era solita passeggiare Maria Luigia, e in cui è stato parzialmente girato il film. In altri termini, la realtà del bosco prende valore dalla finzione in cui è entrata la realtà di Federico Pagliarini.
Arpiani e Pagliarini, Men and Women, 1997, still da video, 1 h 15’Il gioco cresce di importanza quando, nel 1997, Arpiani-Pagliarini partecipano a Uomini e donne, (Canale 5) il talk show pomeridiano leader d’ascolti, condotto da Maria De Filippi. Col pretesto della gelosia della fidanzata Raffaella per la gallerista milanese di Federico, Emi Fontana, i due intervengono come ospiti della trasmissione. La loro vicenda, che unisce l’aspetto privato (Arpiani e Pagliarini sono davvero una coppia nella vita) con l’aspetto pubblico del lavoro artistico, non manca di suscitare la curiosità del pubblico in studio. Sollecitata, la gallerista interviene telefonicamente, ma la sua smentita è ambigua. Nel frattempo non si capisce affatto che tipo di arte faccia Federico. Spunta addirittura un diario al quale lui avrebbe confidato i suoi segreti tormenti d’amore, ma l’artista si difende sostenendo che si tratta di un’“opera d’arte”! Alla conduttrice televisiva Maria De Filippi, che chiede a Federico Pagliarini «se scolpisce o dipinge», lui risponde che i suoi «sono soprattutto allestimenti, che sono lavori uno diverso dall’altro. Difficile spiegarlo nel dettaglio con termini generali».
Solo molto tempo dopo si verrà a sapere che la loro partecipazione era stata concordata in precedenza fra loro e con la gallerista, e che tutto l’insieme aveva costituito quella che potremmo definire una performance mediale. Ma è arte questa?

 

Arte come ready-made

Arpiani e Pagliarini, Forum, 1998, video, 26’La risposta alla domanda: se sei un artista, che artista sei? non può essere esauriente e rimane indecidibile, perché entrambe le cose, domanda e risposta, fanno parte dei mezzi smaterializzati con cui lavorano Arpiani-Pagliarini.
Arpiani e Pagliarini, Forum, 1998, video, 26’Questa “indecidibilità” è ribadita da un’altra partecipazione ai media dei duo: nel settembre 1998, infatti, Raffaella Arpiani porta Federico davanti al giudice della trasmissione Forum (Rete 4) per chiedere che venga riconosciuta pubblicamente la sua partecipazione al lavoro artistico del fidanzato. Ancora una volta non si capisce esattamente in che cosa consista questo “lavoro”. Ma il giudice Santi Licheri “ufficializza” la società e decreta che i due cognomi vengano affiancati in ordine alfabetico - nasce così il duo Arpiani-Pagliarini.
Il vero enigma è che, nonostante l’intento sia stato poi dichiarato apertamente, nel cosiddetto mondo dell’arte pochi hanno riconosciuto nelle partecipazioni televisive di Arpiani-Pagliarini un’azione artistica. Mentre molta “gente comune” ha continuato a riconoscere Raffaella e Federico per strada o al supermarket, gli addetti ai lavori hanno pensato ad una forma di autopromozione, se non proprio a una buffonata. Chi ritiene di far parte del mondo dell’arte, si esime dall’essere considerato “comune”, e pensa di essere in qualche modo “speciale”. Pensa così perché è convinto che il “Sistema dell’Arte”, di cui, magari malvolentieri, dice di far parte, legittimi il suo statuto, che sia quello di critico, di gallerista, di collezionista, o semplicemente di artista. L’Arte dunque funziona in questa proiezione come un sistema di potere ben definito, come un sistema di valori certamente discutibile, ma che definisce saldamente l’identità dei soggetti che ad essi si riferiscono. Andare contro questo sistema sbeffeggiandolo in una galleria viene percepito come “gesto critico”, come “intelligente operazione demistificatoria”. Ma Arpiani e Pagliarini, Forum, 1998, video, 26’andare in televisione a svelare il lato osceno di questo Sistema dell’Arte viene invece percepito dagli “adepti” come una trasgressione non solo inutile, ma velleitaria se non proprio pericolosa. Il fatto che Arpiani-Pagliarini siano apparentemente andati in tv a parlare dei loro problemi personali (la gelosia di Raffaella nei confronti della gallerista, ma anche i lavori artistici di Federico) non nasconde la sostanza della cosa, cioè che così facendo hanno messo in discussione (agli occhi del Sistema dell’Arte) il ruolo stesso dell’artista.
Si pensi a ciò che già aveva fatto Warhol con le Brillo boxes: le scatole di legno serigrafate erano così simili alle vere scatole di cartone del detersivo Brillo, da poter essere scambiate per quelle, pur essendone infinitamente lontane. Questa “infinita lontananza” derivava dal fatto che il valore artistico della Brillo box di Warhol era garantita dall’Arte come Sistema (nel caso di Warhol, ad esempio, il fatto che le sue sculture fossero esposte alla Stable Gallery, e non in un supemercato; e dal fatto che oggi ognuna vale milioni di dollari).
Ma l’operazione di Arpiani-Pagliarini dimostra che è possibile fare molto di più: considerare l’Arte stessa come una Brillo Box, e pertanto produrne una mimesi, una imitazione estremamente vicina al vero pur senza essere “identica”. Il problema però cresce di livello: se Warhol poteva ancora portare le “sue” boxes in galleria, in quale contesto potremo inserire la copia mimetica del classico “giovane artista”, della “fidanzata gelosa”, della “bella gallerista d’avanguardia”, e via dicendo? Non abbisogniamo forse di un Sistema più capiente, “più grande” insomma, del vecchio “Sistema dell’Arte” - un nuovo Potere che definisca la nostra operazione e le restituisca legittimità? Questo nuovo Sistema in effetti esiste già: è appunto incarnato dal sistema dei media, di cui la televisione, e segnatamente il genere del talk-show, rappresenta una delle più notevoli espressioni.
Il Sistema dell’Arte infatti funzionava come tutti gli altri Poteri: definiva per opposizione Arpiani e Pagliarini, Forum, 1998, video, 26’l’identità dei soggetti e le loro azioni (con la forza legale delle Istituzioni - Musei, Fondazioni, gallerie “di riferimento”...) e ne includeva il desiderio tramite l’oscenità (il non-detto, il saperci-fare, i piccoli ricatti magari a sfondo sessuale, le trame segrete di potere...). Invece il nuovo Potere mediale non può legittimare se non tramite la de-legittimazione dei soggetti; l’identità che fornisce loro è solo momentanea e paradossale, per cui essi sono se stessi solo quando, tramite Lui, non sono più se stessi. In altre parole, mentre a teatro un attore può mettersi la toga e diventare un giudice solo nella finzione, in tv un giudice vero può apparire solo come “ospite”; se si mette a fare il giudice, cessa di essere un giudice vero per diventare un “giudice televisivo”, un Santi Licheri… Così, se si va in tv in quanto artisti, si ottiene l’identità di “personaggi televisivi”, carini, belli, intelligenti, spiritosi, o “in crisi” - pertanto, per apparire “artisti”, occorre, tramite la tv, assumere l’identità televisiva di “personaggi”.

 

Fai come Me: diventa un Altro!

Tutte le operazioni artistiche di Arpiani-Pagliarini derivano, in varia misura, da quest’ultimo postulato, ed è a questo fine che si inseriscono nell’universo dei media. Però, dopo tanti anni di arte come “contro-informazione”, di teorie situazioniste sul Arpiani e Pagliarini, Forum, 1998, video, 26’“rovesciamento” del messaggio massmediale, di arte come “virus” all’interno dell’organismo informativo, le cose sono cambiate. La strategia di Arpiani-Pagliarini non è quella di opporre resistenza, ma di opporre insistenza, intrufolarsi dentro i media, però dalla porta principale, rispondendo al loro stesso appello.
Il fatto è che quando si parla di media, il campo mentale si restringe in maniera sconsolante, e ci vengono in mente i telegiornali all’italiana, qualche testata nazionale, qualche rotocalco, qualche megaproduzione hollywoodiana, un po’ di radio e poco altro. È evidente la riduttività di questo approccio, ma ancor più subdola è l’idea che ne deriva: che i “media” siano qualcosa di lontano, istituzionale, impenetrabile, che gli artisti seri debbono combattere o contaminare. In realtà qualunque media si alimenta del feedback offerto dalla fruizione, non è nemmeno concepibile senza questa risposta: ecco perché è tanto futile la concezione della comunicazione in chiave emittente-messaggio-ricevente. I media non sono sottrattivi: sono piuttosto restitutivi, nel senso che noi riceviamo indietro dai media ciò che ci abbiamo messo dentro, sia pur in forma rovesciata - cosa questa che procura godimento. (È un po’ come vedersi, anziché allo specchio, nel monitor: veder se stessi vedere, poiché chi “guarda in camera” ci fissa ma non ci vede, osserva soltanto l’impersonale obiettivo di una telecamera). Lo stesso discorso unifica anche gli altri mezzi di comunicazione, specialmente là dove la comunicazione sembra farsi più personale, per esempio nelle rubriche di posta presenti in quasi tutti i rotocalchi. Veder pubblicata la propria missiva su un rotocalco ha questo senso: non è un gesto di semplice rispecchiamento, come quando si scrive veramente ad un amico per avere un parere, un segno o una risposta; è un gesto triangolare, chiedere a Lui di dirmi cosa fai Tu, per sapere chi sono Io stesso.
Qualcosa m’è successo del 1997 è un lavoro sintomatico in questo senso: iniziato nel 96 esso è consistito nell’invio di lettere a vari rotocalchi, da Gioia a Quattrozampe, da Anna a Grazia, a Cronaca Vera, provocando decine di risposte di varie personalità - dalla sessuologa Graziottin al teologo di Famiglia Cristiana a Miriam Mafai - responsabili di quelle rubriche. Una “tecnica mista su carta” che è sempre la stessa: chiedere un parere su un problema personale (la gelosia, il micio di casa, il successo del partner...) esattamente all’interno del campo di enunciazione dell’Altro, di colui che è preposto a rispondere. I risultati sono esilaranti: quando Federico Pagliarini scrive a Susanna Arpiani e Pagliarini, Men and Women, 1997, still da video, 1 h 15’Agnelli (su Oggi, 30, 1997) dicendosi “imbarazzato” ogni volta che qualcuno gli chiede che lavoro fa, perché «l’arte oggi lavora con mezzi sempre più smaterializzati...»; «al limite azzardo ‘faccio delle installazioni’, ma in realtà questo termine ambiguo rischia di sembrare insignificante».... lei gli risponde: «Non si definisca un ‘artista’; dica ‘lavoro artigianalmente’ e le persona saranno più disposte ad aiutarla». Quando Raffaella, subdolamente, riferendosi alla sua partecipazione a Uomini & Donne, dice di essere diventata ancor più gelosa di Federico, Willy Pasini (su Grazia, 35, 1997) cade voluttuosamente nella trappola e, ricordando Warhol, le consiglia di distinguere tra l’effimera fama televisiva e il vero legame “che vi unisce”… Insomma, tanto più il problema esposto da Arpiani-Pagliarini è “mimetico”, ossia assomiglia ai problemi “reali” esposti dai grafomani che scrivono alle rubriche dei settimanali, tanto più viene preso per “vero” dall’esperto di turno, confermando le parole di Lacan secondo cui «la verità si struttura nei modi della finzione» - ossia gettando un dubbio radicale sulla “realtà” di quei problemi.
Ma questa operazione ha un altro effetto: quello di manifestare in tutta evidenza il carattere “corale” della stampa periodica, cioè il fatto che, al di là di posizioni morali o ideologiche, di destra o sinistra, di teologia o pornografia, nel dare la risposta alla domanda “chi sono?” esibita dal piccolo soggetto fruitore, l’Altro svela se stesso, dice “chi è”. L’Altro mediatico svela di essere Colui che rende altro, colui che fa divenir altro i soggetti che a lui si rivolgono, l’Agente che li toglie dall’identità con se stessi. Le risposte infatti hanno almeno questo in comune: tutte insistono sul tema della liberazione: «liberati da queste sciocche paure!», «supera il sentimento di gelosia!», «discuti di questo problema col tuo parroco! (o col tuo andrologo)» ecc., ossia tutte hanno la forma classica del paradosso: sii te stesso, abbandona la tua deplorevole patologia, realizza le tue fantasie, ossia: diventa come Me, che ti rispondo incarnato magari da una piccola foto in cui compaio sorridente e sicuro. Insomma: per essere te stesso, diventa come me: diventa Altro.
A testimonianza di questo leitmotiv, Arpiani-Pagliarini hanno presentato in galleria le copie delle riviste che hanno pubblicato le loro lettere, disposte sopra leggii come spartiti musicali, ed hanno invitato un coro di musica polifonica a cantare brani tratti dalla mescolanza delle lettere; il coro, infatti, fin dalla tragedia greca, impersona il senso dei valori acquisiti, incarna la sfera del “pubblico”, dà voce e corpo all’impersonale insieme di valori su cui, ci piaccia o no, modelliamo le nostre identità.

 

Viva la Muerte!

Arpiani e Pagliarini, Forum, 1998, video, 26’Il fatto è che, nell’arte di Arpiani e Pagliarini, ad essere messa in discussione è anche la “realtà” dell’arte stessa. Ma l’arte può permettersi questo paradosso, oppure esso ne decreta il suicidio? Ora, ogni volta che si parla di “morte dell’arte” tutti pensano alla deriva di disordine, di perdita della forma, o del senso, o della abilità manuale, posteriore alle avanguardie storiche, senza intendere che la fine dell’arte consiste, esattamente come per il soggetto, nel suo farsi altro da sé. Ma, esattamente come per il soggetto, che gode nel comparire sullo schermo, o meglio nel presentarsi nello studio televisivo, con il trucco addosso e le telecamere puntate, anche l’Arte ha goduto di questa continua auto-estraneazione. Gli artisti di oggi sono come i Testimoni di Geova: la loro normalità è talmente sottolineata (le donne con i capelli da parrucchiere e i tailleur, gli uomini ben rasati, in giacca e cravatta molto standard, ecc.) da risultare inquietante, quasi come la normalità degli ultracorpi nel film omonimo; il quid indicibile che li differenzia dai “normali” è la presenza vitale dentro di loro dell’Altro - per loro, che ci credono, Geova; per chi non crede, un Arpiani e Pagliarini, Men and Women, 1997, still da video, 1 h 15’“eccesso” di normalità. Ed è in tale “eccesso” che il godimento è più grande.
Rispondendo (su Amica, 14, 1997) ad una lettera di Federico (in cui si parla di un maniaco che avrebbe perseguitato sua madre, ecc. - episodio la cui autenticità qui non è importante) Barbara Alberti coglie una verità quando dice: «Forse il godimento è solo nel dirlo. Ed è un meccanismo così perverso che anche lei, F, scrivendo questa lettera, fa il gioco del telefonatore misterioso. Non sarà anche lei un poco esibizionista? ... Il suo zelo è sospetto. E più è in ‘buona fede’ e peggio è...». Forse il godimento è proprio nell’impasto tra buona fede e abilità imitativa, tra zelo e sospetto, tra linguaggio ed essere che non solo l’arte ma in genere la vita, stanno evidenziando all’epoca dei media.
Le cose vanno dunque un po’ come il rapporto del tizio con Claudia Schiffer: la Schiffer - metaforicamente, la cosa-in-sé, il tesoro nascosto dell’Arte -, si depotenzia presto e non nasconde più alcuna promessa di verità se non viene ammantato presto o tardi da un rivestimento immaginario che ne trasformi l’essere in linguaggio, che ne faccia ciò che Lacan designava come parlêtre (parl’essere). Il godimento estetico cioè, da quando ha conosciuto l’antagonista più grande, il godimento immaginario, di cui i media sono la più efficace incarnazione, non può più sopravvivere da solo. Aver compreso questa impotenza, è il lato più profondo del lavoro di Arpiani e Pagliarini.
Anche grazie a loro l’Arte, a dispetto delle reiterate profezie che la danno per defunta, continua a sopravvivere, ma immaginariamente, sotto forma di morta-vivente, zombie e vampiro al tempo stesso.

Marco Senaldi è critico d’arte. Vive e lavora a Piacenza.


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